“Gioia Mia”

Ad attendere eravamo in due, io e un signore piuttosto distinto, entrambi seduti e distanziati come da regolamento.

Lui era sulla parete alla mia destra, io appoggiato a quella della porta d’ingresso che era rivolta verso un gabbiotto vetrato, dove all’interno un militare scriveva freneticamente al computer.

L’uomo indossava un cappotto verde scuro, dei pantaloni grigi e delle scarpe di cuoio lucidate alla perfezione, avrà avuto tra i 75 e gli 80 anni.

Mi colpì quel suo sguardo fisso verso il basso, quella “assenza vitrea”; tipica ed inimitabile forma che ogni viso assume quando i pensieri cercano di scandagliare tutta la memoria.

Mi venne in mente allora una frase di Norman Lewis: «Non mi ha detto niente, ma mi ha insegnato anche più di quel che volevo sapere».

Era vero! Per così dire, avevo “appreso per osmosi”. Avevo intuito che c’era un’eruzione del Vesuvio in atto ma che non era per sé; pensava a qualcun altro.

Nel frattempo un via vai di persone ci sfilavano accanto, era impressionante il variegato ventaglio di umanità che si dispiegava in quello spazio.

Passarono: Valentina, che aveva perso il permesso di soggiorno – Lorenzo, al quale avevano rubato il motorino – Daniela che era stata tamponata da un individuo poi fuggito ma che dell’automezzo era riuscita a prendere la targa, e tanti altri.

Ad un certo punto, sulle scale si intravide in controluce l’ombra di una persona che lentamente scendeva e che, arrivata nell’androne dove eravamo, si fermò muta di fronte a quel signore.

Improvvisamente l’uomo che era stato assente per tutto il tempo si rianimò esclamando: “Gioia mia!”.

“Li ho denunciati tutti papà, tutti quanti!”, sbottò con incrollabile fermezza l’uomo delle scale, e insieme abbracciati andarono via mostrando senza veli il loro legame indissolubile.

“Gioia mia!”, questa frase mi colpì tanto.

Mi sembrò familiare, quasi come se l’avessi sentita per anni da qualche parte. Una frase “magica”, in grado di risvegliare dai torpori della mente, pensai.

Eppure a me dava l’effetto opposto, sembrava avere in sé qualcosa di negativo, come fosse colla e solvente nello stesso istante, come fosse in grado di unire e di recidere istantaneamente ogni residuo legame.

Mentre ero assorto in questo strano ragionamento mi sentii chiamare: “Architetto, allora queste sono le tre copie, deve firmarle, una resta a lei, le altre le tratteniamo noi. E’ stato tutto già spedito telematicamente alla Proc…”.

Non riuscivo a sentire più nulla, guardavo la bocca del maresciallo che si “muoveva muta”, ma pensavo sempre a “Gioia mia!”.

Volevo uscire, avevo bisogno di andar via. Firmai le tre copie, ne presi una, ringraziai tutti e mi portai fuori da quel luogo.

All’esterno c’era un’aria primaverile, fresca ma netta, quasi come il sapore di una sentenza inappellabile.

Nello stesso istante, da una macchina ferma in un parcheggio, arrivarono le note e le parole di una canzone:

“Che niente dura per sempre
Finisce ed è meglio così
Amanda Lear
Soltanto per
Un LP
Il lato A, il lato B
Che niente dura per sempre, figurati io e te”.

Ecco cos’era!

Quella musica mi riportò a chi credeva di dominare il mondo costruendo una felicità fittizia, che alla fine si dissolse fra le sue mani.

Mi fermai, sorrisi e pensai ‘ha detto tutto lui, gioia mia’.

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